i fiumi di castione 1850

Castione 1850.ca.

 

 LA GRANDE CAUSA CON ARBEDO PER LA

FRAZIONE DI CASTIONE

  

da
 

 

Marco de Gottardi,

 CENNI STORICI SU LUMINO CASTIONE E MONTICELLO,

 

Arti Grafiche Bernasconi & Co, Agno 1980

 

Per gentile concessione degli Eredi .

 

Incerte e lontanissime nei tempi sono le origini di Castione. Senza dubbio detta terra venne abitata già prima del mille. Inizialmente, la zona del vecchio abitato di Castione, altro non doveva essere che un susseguirsi di paludi. Attorno doveva estendersi terreno incolto sul quale dilagavano liberamente le acque del Ticino e della Moesa. Questo piano appartenne «ab immemorabile» al Comune di Lumino, la cui giurisdizione si estendeva sino alla confluenza della Moesa col Ticino ed al Ponte di Cassero nelle vicinanze di Claro.

Tanto poco era l'interesse che rivestivano in quell'epoca così lon­tana, le terre incolte di Castione, che raramente erano citate con quelle di «Lugumino»; non rivestivano ancora l'interesse d'imporre delle decime.

Più tardi la situazione fu ben diversa, ma sempre prima dell'anno mille, quando la Moesa lentamente si spostò verso metà campagna di Lumino e di Castione e poi più in là verso il letto attuale del fiume, dando la possibilità a qualche famiglia isolata di stabilirsi nella zona.

Da allora, in stipulizioni del luogo, accanto al nome già conosciuto di «Lugumino», apparirà anche quello di «Castilione».

Sembra che la denominazione sia appunto in relazione all'arrivo, forse prima come proprietario, poi come primo reggente de loco, di un certo Castiglione (1) del distinto casato comense che nel futuro ZISSUrnerà nel contado non trascurabile importanza.

Lumino e «Castilione» formavano dunque, sin dalla loro nascita, un'antica ed importante Vicinanza «in loco et territorio de Lugumino et Castiliono» così che ne è già provata la loro comunanza con documenti di prima del 1200. (Vedi Capitolo «Appunti», anno 1168, e l'Atto sulle decime del 1242, ecc.).

L'atto di vendita dell'Alpe di «Logha» del 3 luglio 1284, fatta nelle inani di Bernardi de Castilione e di Obitzi figlio de Lugumini, attesta chiaramente la vita condotta in comune tra Lumino e Castione.

Lo Statuto de Comunis de Castiglione et Lugumino è dell'anno 1363. (da Inventario d'Arte e Antichità del bellinzonese, pag. 223).

Più volte sarà accertata l'esistenza della Vicinìa di Castiliono con Lugumino, come risulta dai diversi documenti ed atti che accenno nel presente libro.

"Tentativi di separazione affiorano già nel necolo XVI, ma la divisione delle terre in comunione è sempre l'ostacolo insormontabile.

È comunque nota una scrittura “delli tre Cantoni anziani et cattolici” del 13 settembre 1599 che decideva la separazione di Castione e Lumino, ma mai messo in atto.

L'udienza avvenuta in loco di Castione chiedeva, nel merito della divisione dei beni:

«... e siccome essi sino a questa epoca habbiano vissuto conte due,- fratelli ed anche fatto il console un anno nel villaggio superiore :1 Lugumino e l'altro in quello inferiore di Castione, e nominati indistintamente i loro giudici et sindaci, sia in tempo di pestilenza che in altri accidenti, riguardo la guardia od altre spese, e di dover dunque spartire anche essi in parti uguali...

... risposero quelli di Lumino di doversi fare spartizione per le te­ste od almeno per i focolari.

Mentre che sempre in tutte le cose avessero vissuto gli uni con gli altri unanimi, non solamente come fratelli, ma tutti in comune, come fratelli..., aver essi goduto indistintamente un focolare conte l'altro dei pascoli di tutti i comunali... et avendoli i nostri signori superiori favoriti di alcuni pezzi comunali, ne ottenevano ognuno focolare la sua parte... così quando si spartivano e si vendevano i boschi e li Alpi... Questo succedeva a Prevonzo, a Moleno, a Giubiasco o nella valle di Morobia a Claro e nel Blenio, pertoccando ad ogni fuoco la sua parte eguale al povero come al ricco.

Così quando ai Superiori nostri occorrevano, domandavano (lei soldati, questi dovevano esser levati in proporzione dei focolari...

1 rappresentanti dei tre Cantoni, sentite le ragioni e le repliche di ambo le parti, decidevano:

... havendo noi fatto pregare i detti uomini dei due luoghi di Castilione e Lumino a dover e voler ancora sopportare in comune fra l'loro et bene et mali ad esempi dei loro antenati... finalmente insistendo essi ed essendosi dichiarati e risolti a voler dividere: ... perciò noi habbiamo giudicato che detti due luoghi debbano, secondo la generale pratica, fare divisioni per focolari tra i presenti che sono domiciliati... et scegliere l'ambi le parti Belli uomini leali i quali abbiano a fare la spartizione tanto sulle montagne come al piano in tutti i siti sì che ogniuno abbia la sua parte tanto del terreno bollo come sul cattivo e dopo chè sarannno fatte le spartizioni si tireranno per sorte...» .

Decisione che non venne mai eseguita in quanto, come vedremo, dette terre, per altri secoli, rimarranno ancora indivise.

Molte le contrattazioni e le documentazioni che potrebbero essere richiamate a conferma.

Giova ricordare l'atto del 28 ottobre 1623, steso alla presenza «Belli homeni venerabili de Castilione et Lumino», concernente la costituzione di una Parrocchiale indipendente in Castione che sarò denominata di San Nicolao e di San Gottardo.

Tali individui si impegnano di dare danari e fondi per la formazione di un Beneficio, affinchè si possa costituire una dote sufficiente che darà un adeguato ricavo da poter mantenere permanentemente un sacerdote proprio nel villaggio di Castione.

Ciò sarà ritenuto valido solo con l'approvazione ecclesiastica dell'ill. Superiore di Como, se così vorrà aderire alla separazione della Chiesa di San Gottardo da quella matrice di Lumino, dichiarandola titolare e elevandola a Parrocchia.

Se non sarà acconsentito, i firmatari declinano ogni obbligo di donar ogni cosa, come se nulla fosse avvenuto, stando che questi non possono assumersi il pagamento di un cappellano che serva Castione e continuare a passare al curato di Lumino le consuete primizie, elemosine od altre sovvenzioni.

I firmatari sono elencati nel capitolo che descrivo la Chiesa di Castione (pag. 330).

         L'Atto non avrà effetto immediato, perché anche più tardi alcuni abitanti di Castione che già figuravano negli elenchi della Confraternita di Lumino del 1606 sono rielencati nel 1646 e ancora dopo. In questi elenchi troviamo i Tonata, i de la Campagna, i Piceni, del Poz, ecc. (abitanti in loco de Castioni). Sarà sempre il Cappellano della Parrocchia di Lumino che assumerà le funzioni di parroco a Castione.

         Da ultimo, don Renato Agustoni, nel 1917 venne eletto parroco di Lumino con reggenza della Parrocchia di San Gottardo che amministrerà1 sino alla sua partenza. E così continuerà ancora per alcuni anni. 

         Se qualche dissidio vi fu dopo il 1623 in conseguenza della separazione delle due Parrocchie, in effetto non ebbe mai influenza decisiva per la separazione politico-territoriale dei due Comuni.

         All'inizio del 1800, Castione si trova in cattive acque, non solo a causa delle minacciose piene del «Tesino e della Movesa» che ogni volta che infuriano, allagano la piana di Castione, ma bensì oppressi finanziariamente si trovano obbligati di dover «svendere» certi terreni che erano in comunella con Lumino, mentre altri, in quel di Cadossola, li aveva già spazzati via il «Tesino».

In un documento del 1682 (2) appare evidente come quelli di Lumino osano rimproverare in particolare ai castionesi: «... essi di Lumino dovettero ancora d'all'hora havere pacentia dell'inferiore sua sfortuna per ditti di Castionis se non havessero al presente hippotechati oppor svenduti li lor beni a gente fuor de la comuna, et al presente non avrebbero havuto occasione di dolersi della loro povertà...

Trattavasi di terreni, la maggior parte zerbivi, che venivano divisi tra i cittadini patrizi de loco de Castione e Lumino.

Nello stesso documento (3) si accenna perfino che tali divisioni non dovevano comprendere Monticello e le terre sino verso i confini antichi, halfin di non rinnovare li hincommodi e provocare altre

* spese. (i I documento fa riserimento alle liti precedenti per possessioni a Monticello ai confini con la contea di Mesocco).

Allora la piccola frazione di Castione difettava di una amministrazione locale perché, come nei secoli scorsi, l'amministrazione dei beni comunali e patriziali rimaneva sempre a Lumino, malgrado che la Chiesa di San Gottardo di Castione fosse già staccata dalla Parrocchia madre di Lumino. I beni patriziali non potevano certamente essere amministrati dalla giovane Parrocchia di Castione.

La separazione delle due Parrocchie non comportava la divisione dei beni patriziali-comunali, nè, tantomeno, del territorio giurisdizionale. Il confine giurisdizionale del Comune rimarrà immutato sino al 1863, anno in cui venne emesso il lodo che porrà fine alle liti di Arbedo contro quelli di Castione e Lumino uniti, aggiudicando la frazione di Castione ad Arbedo.

Nel gennaio 1817 le prime mosse di solo due persone che sono Gottardo Lunghi e un certo De Vill, quest'ultimo arrivato a Castione da chissà dove. Il Del Vill sarà poi sostituito da un Vanzetta, anche questo estraneo all'antica Vicinìa. Poi nel 1818 all'azione dei due si uniscono altri di Arbedo. Solo nel giugno del 1818 il Municipio di Lumino è informato che alcuni individui, undici in tutto, compresi gli individui arrivati dal di fuori di Castione e quelli d'Arbedo, sono intenzionati di unire la frazione di Castione ad Arbedo.

La volontà dei castionesi era tutt'altro che favorevole e concorde su questa rottura con Lumino. Anzi se v'erano dei rapporti non troppo buoni, per questioni di discordie e liti tra privati per certe proprietà comunali, erano proprio con quelli di Arbedo. I castionesi sempre si sono posti a difesa di ogni cosa, uniti, con quelli di Lumino.

Per questa causa si trovano certamente spinti e concordi gli arbediesi e, naturalmente, l'opposizione da parte di Lumino.

Le condizioni finanziarie della piccola comunità di Castione sono insostenibili: queste le pesanti motivazioni che fanno valere, i pochi, ma tenaci fautori della separazione da Lumino.

Ma le frequenti inondazioni della Moesa e del Ticino, che negli ultimi decenni avevano raggiunto proporzioni veramente allarmanti, sono i motivi che inquietano maggiormente gli abitanti di Castione. i luminesi avevano alquanto trascurato quell'abituale e secolare aiuto per contenere nel miglior mono le acque del Ticino al Galletto e della Moesa.

Nel 1818 sorsero, al vero, dei contrasti tra alcuni privati castionesi e altri di Lumino per certi favori nella distribuzione di fondi in comunione ad alcuni privati per essere dissodati e coltivati. La questione è stata pacificamente risolta con l'intervento del Commissario cantonale e del giudice di pace. Ma questo non era certamente il motivo principale che hanno spinto i due castionesi all'azione di unirsi ad Arbedo, perché già l'avevano iniziata l'anno prima e presentata dal Municipio di Arbedo al Governo cantonale già il 20 maggio 1818. Il giorno stesso della presentazione , il Consiglio di Stato emana un voto di adesione alla petizione dei Lunghi e del del Vill. Osserva che la stessa dovrà essere ratificata dal Gran Consiglio.

Il Gran Consiglio ticinese nella seduta del 20 giugno 1818 deve occuparsi del caso, il quale è però informato che il Municipio di Lumino aveva presentato un memoriale di protesta contro la domanda di separazione di Castione da Lumino per unirlo ad Arbedo, presentata da alcuni cittadini, supplicando il Governo, che prima di decidere, sia portata a conoscenza del Municipio di Lumino affinchè possa portare i suoi motivi.

II memoriale del Municipio di Lumino veniva poi rimandato al Cons. di Stato in quanto non gli era ancora pervenuta nessuna domanda di aggregazione di Castione al Comune di Arbedo.

Questo dilungarsi dei fatti non scoraggiano nè sminuiscono le trattative tra Arbedo ed i due fautori dell'azione di annessione di Castione ad Arbedo. Per rendere maggiormente effettiva la domanda, Arbedo si propone la stesura di un atto notarile.

L'atto sarà ritenuto, da parte di Lumino, l'intruso più illegale, perchè si accennna con scarsa convinzione di assemblea dei castionesi del 26 aprile 1820 che abbia deciso di aggregarsi ad Arbedo per formare un sol Comune. A delegati sono chiamati Gottardo Lunghi ed il Del Vill con piena autorità di stipulare con Arbedo qualsiasi atto necessario. Per autenticità dell'Atto ed a nome dell'Assemblea Pietro Vanzetta fa la marca di casa e la croce, perchè illetterato. Firmano quali testi e si scrive nell'atto che hanno visto fare la marca e la croce: Bernardo Bonzanigo, Francesco Lafranchi di Robasacco, ed il segretario Fulgenzio Zezi

Già il giorno seguente a questa... assemblea..., cioè il 27 aprile 1820, il Gottardo Lunghi ed il del Vill si presentano nella casa del signor Paolo Molo di Bellinzona, ma usata dal notaio Cusa, alla presenza di tutta la Municipalità di Arbedo che sono: Pellandini Giulio, Pellandini Sandro, Placido Ghidoni, Menghetti Antonio e Bruneti Agostino. In quel raduno l'Avv. Agostino Cusa, figlio di Defen­dente, notaio giurato del Cantone Ticino, ha rogato l'Istrumento di aggregazione.

L'atto inizia: considerando che per l'addietro ben sovente vertivano fra i due Comuni di Arbedo e Castione delle questioni accanite, dei litigi, e molta discordia, quali che con la presente unione saranno tolte appieno e sradicate... L'atto continua e cita i cittadini che vengono ammessia al Patriziato d'Arbedo: Gottardo Longhi, Giuseppe Antonio Lungi, Carlo Longhi filio di Carlo, il prete Fulgenzio Zezi, il Defendente Zezi, Giuseppe del Vill, Giuseppe Ponzio, Giuseppe Vanzetta. Pietro Vanzetta, Giuseppe Pani, Pedruzzi Giuseppe.

L'Atto veniva poi urgentemente approvato dal Gran Consiglio.

L'Atto, conclusosi con la decisione cantonale di aggregazione di Castione agli arbediensi, sembra che risolva definitivamente la questione.

Ma quante liti sorgeranno ancora, per quell'atto, che, visto alla Iuce dei tempi, lo si può ancora definire illegale.

            Constateremo che diverse saranno le opinioni: chi voleva si continuasse la comunità con Lumino

certamente il numero  maggiore di chi voleva una reggenza per proprio conto e degli altri che propugnavano l'unione con Arbedo.

Una decisione popolare non v'è mai stata nè si tentò di provocarla. A quei tempi, tanto Lumino che Castione difettavano di persone abili a calcolare le future conseguenze di tale documento.

I fattori che allora potevano influenzare e interessare erano certamente la proprietà in montagna, fonte di una importante risorsa vitale di esistenza. Tale proprietà, in parte preponderante, di dominio patriziale, era allora molto estesa e rappresentava certi privilegi di godimento riservati ai patrizi. Favori che non potevano essere estesi ai «forestieri», così erano chiamati i cittadini non patrizi. Inoltre, a carico di questi ultimi, gravavano certe tasse elevate di pascolo, di stramaglia, di raccolta della legna, della doppia primizia ed anche di sepoltura.

Siamo nel 1821: la Municipalità di Lumino, istigata da alcuni castionesi più che da quelli di Lumino, comincia a dedicare più caldo interesse alla causa, valutandone troppo tardi, l'importanza e le graviti delle conseguenze future con la perdita di Castione.

Alle tranquille speranze dei Vanzetta, del del Vill e arbediensi, il 2 luglio 1821 il Municipio di Lumino rimuove la causa con un nuovo ardito memoriale al Governo cantonale affinchè si annulli il decreto del 1820 che accordava l'unione di Castione ad Arbedo.

Il Gran Consiglio mandava il memoriale del Comune di Lumino ad Arbedo e poi ad una speciale Commissione la quale dovrà invitare i due Comuni a delegare dei rappresentanti allo scopo di raggiungere un accordo bonale su tutta la faccenda.

Lumino rimette la questione ad un bonale ed assoluto giudizio del Cons. Giovan Battista Bonzanigo e dell'Avo. Giovanni Mariotti, ambedue di Bellinzona.

Nel 1825 i delegati di Arbedo nella causa, i signori Pellandini Giulio e Brunetto Pasquale hanno intimato al Comune di Lumino un precetto di procedura immediata di divisione dei terreni che ancora ritengono di avere in comunione con Castione. Per Lumino, sono delegati il sindaco Battista de Gottardo ed il segretario comunale Andrea Ghidossi, i quali sono incaricati di restare in causa con Arbedo di fronte a qualsiasi Tribunale che dovesse entrare in linea di conto. Come già ho riferito sopra, la causa punta particolarmente sulla questione dei possedimenti montani e delle divisioni che Arbedo vuole ottenere ad ogni costo perchè, con l'atto d'aggregazione che non è stato e non verrà mai ratificato da Lumino, considerandolo illegale, si ritiene parte interessata.

Tenacemente Lumino si oppone alle pretese arbediensi, ma  l’astuzia di questi ultimi è, senza alcun dubbio, superiore, ed essi sostengono la causa con maggior impegno e competenza, ma anche con linguaggio e scritti avvincenti e convincenti.

            Le pressioni sono tali che anche il Tribunale distrettuale non può non acconsentire che a Castione, e di conseguenza ad Arbedo, spettano parte ponderante dei boschi e di altre terre. A Lumino resta riconosciuto, secondo le vecchie documentazioni e consuetudini, la comproprietà in ragione dei due terzi e uno a Castione-Arbedo. Che a Lumino venga tolta la parte migliore non se ne terrà dovuto conto.

         Ma quanti e quali terreni dovevano venir considerati in comunione con l'ex frazione di Castione?

Quelli di Arbedo vorrebbero che la comproprietà andasse oltre i limiti della Tensa sopra Castione, dei prati a lischedi del Galletto, dei fondi ai margini ed alla confluenza dei due fiumi di proprietà comunale-patriziale.

Lumino saprà mitigare, almeno in parte, queste enormi pretese, grazie solo ai vecchi documenti che hanno potuto essere salvati in Municipio.

Nel 1827 sorgono dei vivi contrasti per la realizzazione del bosco della Tensa sopra Castione. Nell'intento di evitare ulteriori dissidi e complicazioni, con esplicita riserva che la causa vertente non venga pregiudicata, sono delegati due rappresentanti allo scopo di trattare in via bonale e transitoria la realizzazione del bosco.

E in data 19 luglio 1828 che il Tribunale distrettuale emana la prima sentenza in netto favore di Arbedo.

Una numerosa Assemblea tenutasi nella sala della Casa comunale di Lumino accorda all'unanimità la piena facoltà ai due delegati di fare il doveroso, quanto energico, ricorso in Tribunale d'appello.

La causa doveva risolversi all'inizio di gennaio del 1829.

Il malcontento aveva invaso la popolazione di Lumino, e l'atteggiamento non sempre tempestivo dell'Autorità comunale scoraggiò oltre che il popolo di Lumino anche quei castionesi che sempre avevano desiderato la conservazione integrale dell'antico vicinato con Lumino.

La propaganda partigiana alla fusione con Arbedo non ebbe difficoltà ad intravvedere questo rilassamento e promuovere quei provvedimenti opportuni, quanto tempestivi, per poter far concludere la causa in suo favore.

Era consuetudine che ogni anno alle calende di aprile, quelli di Castione venissero a Lumino per la raccolta delle elemosine a profitto della Chiesa parrocchiale di Castione.

Quell'anno, alla Municipalità locale, parve cosa assai strana di veder, già all'inizio di gennaio, certi individui di Castione, naturalmente assoldati, far la ronda del paese nell'intento di raccogliere l'elemosina per San Gottardo, mentre null'altro si prefiggeva che di provocare altri maggiori dissidi tra la popolazione di Lumino in attesa della decisione del Tribunale d'appello. Tali dissidi sarebbero poi stati riferiti alla sede competente. La Municipalità locale, conscia della delicata situazione e per evitare dispiacevoli conseguenze, si accorda col curato decretando la sospensione della raccolta delle elemosine,perché eseguita in tempo opportuno.

 

Dopo nove altri anni di lotte e dissidi, la causa si rimette nuova mente in corso e questa volta in modo assai grave per Lumino.

La Municipalità, nel marzo del 1829, convoca d'urgenza l'Assemblea comunale-patriziale, e ottiene di poter delegare altri abilissimi patrocinatori a salvaguardia degli interessi comunali in procinto di essere seriamente compromessi da una inefficace difesa.

Nel 1831, ambo le parti in causa aderiscono ad un compromesso provvisorio emesso il 25 novembre dai delegati Cons. Bonzanigo, Mariotti e Avv. Corrado Molo.

A Lumino la delusione è immensa: la popolazione vocifera che sarebbe stato meglio agir da soli piuttosto che «mal istradati» come lo sono stati.

Il Tribunale distrettuale, nel 1836, evade e decide su precetto staccato dal Municipio di Lumino il 24 marzo 1829 in margine alla causa con Arbedo. Il verdetto è palesemente contro il buon senso e contrario alla giustizia. L'Assemblea, convocata d'urgenza, deplora questo stato di cose e interpone il dovuto ricorso in appello.

Nel 1837 l'Autorità comunale riconosce che finora non vi è stato un sufficiente impulso alla causa con Arbedo, e che tale atteggiamento potrà essere biasimato dai posteri. Il sindaco Defendente Ghidossi vuol mettere rimedio alla causa proponendo e facendo accettare dall'Assemblea che in aggiunta ai due delegati siano nominati il municipale Carlo Pronzino qm. Massimino e Gemetti Francesco qm. Francesco.

Malgrado l'intervento energico dei due delegati in collaborazione con i neoeletti nella commissione, la causa sembra ormai compromessa e volge apertamente in favore degli arbediensi tenaci più che mai per l'ottenimento di questo tangibile vantaggio. L'Assemblea comunale patriziale orientata come la sede giudiziaria sia schierata contro i luminesi, sospende l'appello in Tribunale.

E così, anzichè veder la conclusione della causa che travaglia i due Comuni da oltre un ventennio, si assiste ad un ristagno delle liti e dei dissidi, lasciando che il tempo e altri eventi aprano nuove prospettive di soluzione.

La prospettata intenzione di Arbedo per una immediata divisione dei terreni ritenuti ancora promiscui con Castione resta quindi posticipata per il mancato accordo.

Tre anni dopo, cioè nel novembre 1840, il risveglio di alcuni cittadini di Castione che chiedono e desiderano di unirsi nuovamente a Lumino, affinchè più non sorgano nuovi alterchi che troppo hanno già turbato la popolazione dei vicini Castionesi e Lumino, e affinchè, come per il passato, ritorni per l'avvenire la reciproca armonia di due po­polazioni che non desiderano altro che di vivere tranquilli ed in pace anche con i vicini arbediensi.

La domanda di unione è proposta dai cittadini Castionesi signori Lunghi Carlo, Bartolomeo, Gottardo e Giovan Battista; essa tende a render nullo l'illecito atto redatto dal notaio Cusa l'anno 1820 e a togliere così ogni litigio tra i due Comuni che sono stati uniti sin dal loro nascere.

Per collaborare con i Castionesi sono condelegati i due cittadini di Lumino, Giulio Righetti e Francesco Gemetti, che tutto dovranno fare pur di raggiungere un buon esito nella causa che travaglia il popolo di Lumino e gli amici e cugini di Castione desiderosi soltanto di rimanere uniti nella buona e nella cattiva sventura con Lumino.

Nella convenzione accettata dall'Assemblea patriziale di Lumino l’8 maggio 1844, è convenuto che saranno accordati i diritti patrizilali a 18 cittadini di Castione se la causa sarà decisa in favore dell'unione.

L'azione dei Castionesi è mal vista da parte dei cittadini di Arbedo, i quali ben presto faranno tutto il possibile per sollecitare un nuovo decreto da parte del Tribunale distrettuale. Infatti con decreto del 23 agosto viene intimato al Comune di Lumino di cedere la terza parte dei terreni patriziale-comunali in comunione con Castione ed inoltre di versare il ricavo di cui Lumino ha usufruito dal 1800 ad oggi. A questo appello del Tribunale, il Comune di Lumino non ritiene opportuno dar alcun seguito, se non di chiedere ad Arbedo quali sono i beni che intende dividere, e quali sono i beni in comune se ancora ne esistono...

Nel maggio, del 1845 Lumino ritiene opportuno sollecitare l'esame della domanda di separazione dei Castionesi da quelli di Arbedo e sono inviati i municipali Pronzini Massimino e Francesco Gemetti a colloquio con il Cons. di Stato Avv. Mariotti.

Finalmente, nell'ottobre 1845, si potrà far accettare la proposta tendente a far nominare una commissione incaricata di esaminare gli atti circa la causa pendente tra i due Comuni.

Due arbitri saranno designati rispettivamente dai Municipi di Arbedo e di Lumino. Un terzo sarà scelto dai due primi eletti e funzionerà da arbitro nella questione. L'Assemblea di Lumino designa quale suo delegato-arbitro nella commissione a tre l'Avv. Gaetano Molo di Bellínzona.

Nel 1848 il Tribunale distrettuale decide ed ordina di procedere alla divisione del fondo boschivo della Tensa sopra Castione e Lumino, che Arbedo ritiene in comunione con Castione.

I due Comuni non riescono ad accordarsi per la divisione di tale bosco cosicchè ogni azione al riguardo rimane infruttuosa e le eccessive pretese di Arbedo non fanno che inasprire sempre più la situazione.

Nel 1850 l'Assemblea comunale-patriziale di Lumino insiste nuovamente per un intervento più energico presso le Autorità cantonali per far si che la domanda dei benemeriti concittadini di Castione intesa alla separazione di Castione da Arbedo, abbia un corso giusto ed immediato. Contemporaneamente l'Autorità locale conclude con le famiglie Righetti Giulio e Gianoni un accordo circa il loro intervento propizio con Arbedo, quali patrizi di quel Comune.

Lo stesso Giulio Righetti è incaricato di recarsi a Locarno presso l'Avv. Romerio per ricevere le necessarie istruzioni per il propizio proseguimento della causa.

Nella stessa seduta è nuovamente ed ampliamento discussa la domanda dei benemeriti cittadini di Castione. All'unanimità si conferma la decisione precedente, favorevole ad un appoggio più intenso e vigoroso affrettando la decisione cantonale della controversia.

A questo scopo vengono incaricati altri due delegati comunali, i concittadini Francesco Gemetti e Pronzino Agostino.

Al Righetti Giulio, in segno di riconoscenza per la collaborazione ai buoni fini della petizione dei Castionesi, saranno interamente compensate le spese e sarà accordato uno speciale compenso.

La petizione dei Castionesi, indirizzata al Lod. Cons. di Stato in data 30 aprile 1851 è firmata da Ostini Giovanni, Pedruzzi Gottardo, Ostini Giuseppe, Pedruzzi Giulio, Pedruzzi Giuseppe, Pedruzzi Antonio, Del Cò Pietro e Rossi Antonio che sono semplicemente domiciliati di Castione. La stessa è pure firmata da Righetti Giulio, Ri­ghetti P. Antonio, Gianone Simone, Gianone Giovan Stefano, Gianone Paolo, Gianone Pietro, Bartolomeo Righetti, che sono ammessi al patriziato di Arbedo-Castione. Con memoriale separato del 15 maggio si uniscono Gottardo e Giuseppe Lunghi. Nella petizione, costoro espongono, in modo chiaro e convincente, come l'aggregazione di Ca­stione ad Arbedo fatta con un semplice documento steso in forma privata dall'Avv. Cusa il 20 aprile 1820 e su richiesta di uomini estranei e senza diritto alcuno, sia assolutamente ingiusta.

Infatti solo 11 firmatari hanno potuto disporre dell'avvenire della Comunità di Castione, mentre altre famiglie non vennero mai informate dei fatti e non sono state consenzienti. Nel documento si paragona l'attuale situazione al mito di Pandora (Iliade), la quale ricevette da Giove un vaso colmo di mali che si sparsero poscia sulla terra mentre la speranza rimase nel fondo del vaso; così è che per Lumino e per Castione la speranza non è ancora interamente spenta.

Le famiglie non consultate per l'unione con Arbedo reclamarono e si opposero, ma senza essere ascoltati a dovere e quindi senza possibilità di riuscita.

Altre famiglie intervenute nella stesura dell'atto si pentirono e tentarono poi la rescissione. Lumino stesso si oppose a motivo delle proprietà in comune con Castione.

Si sparsero così molti mali per molteplici liti e dissidi, che si infiltreranno perfino nelle famiglie di Castione e di Lumino. Ma Arbedo non volle indietreggiare nemmeno di un passo.

Durante i primi trent'anni di dissidi, di lotte, di spergiuri, cioè dal 1820 al 1851, Arbedo seppe tener validamente le redini della causa, specialmente per la scarsa influenza da parte di Lumino sulle personalità autorevoli dell'epoca, malgrado la tenacia e la ferrea Volontà dei concittadini di Castione che con ogni mezzo e contro chicchessia avverso, desiderano e tentano ancora di coi loro secolari vicini.

Il memoriale dei Castionesi continua dicendo che l'unione è stata imposta. Se vi era una ragione di unirsi ad un Comune, non lo doveva certamente essere con Arbedo che trovasi staccato dai confini naturali, cioè al di là del fiume. In caso di convalidazione dell'atto del 1820, il documento invoca l'applicazione dell'art. 10 dello stesso che prevede come possibile una nuova separazione da Arbedo se richiesta da una delle parti e perchè l'atto ratificava l'unione solo a titolo di esperimento.

Essi ritengono inoltre che Castione non possa, attualmente, reggersi da sè perchè pochi sono gli attinenti, e deve perciò senz'altro essere unito ad altro Comune. Questo Comune non può essere che Lumino, perchè solo così ambedue riusciranno a migliorare reciprocamente le loro sorti. Del resto, Lumino lo accoglie con viva e molto simpatia. La separazione non è sortita per volontà o colpa dei castionesi nè di quelli di Lumino.

Confuta le diverse argomentazioni d'Arbedo asserendo come quest'ultimo abbia oltre 80 famiglie patrizie, mentre che Castione ne conta solo otto. Ciò rappresenta una vera e propria spogliazione ai danni dei castionesi per il semplice fatto che nessun individuo di Castione potrà beneficiare dei diritti di patriziato di Arbedo.

AI lungo e dettagliato memoriale elaborato dai Castionesi se ne aggiunge uno dei Luminesi non meno importante e voluminoso. Questo enumera anzitutto gli svantaggi che Castione deve sopportare in seguito all'unione con Arbedo. Confuta poi magistralmente l'atto del 1820 ritenendolo assolutamente illegale poichè le famiglie intervenute alla stesura dell'atto non avevano nessun diritto legale di farlo, non potendosi disporre di cosa pubblica da parte di alcuni privati cittadini.

Alla petizione in parola vengono aggiunti i validissimi particolari contenuti nel memoriale dei signori Lunghi Gottardo e figlio Giuseppe, in data 15 maggio 1851. Il figlio Giuseppe in qualità di municipale di Arbedo insiste e raccomanda vivamente affinchè la separazione di Castione da Arbedo sia di immediata attuazione.

In merito all'illegalità dell'atto Cusa del 1820 i signori Lunghi confermano le argomentazioni dei richiedenti e di quelli di Lumino. Fanno notare con particolare rilievo che l'unione di Castione con Lumino rimane e sarà sempre nei secoli avvenire una necessità dettata dalla configurazione topografica. È inoltre giustificato che il patriziato di Castione rimanga unito a quello di Lumino perchè ne consegue un'eguaglianza di diritti.

Arbedo ribatte seccamente, seppur senza convinzione, alle petizioni dei castionesi sostenuti dagli stessi motivi di quelli di Lumino.

Arbedo afferma che i motivi che indussero nel 1820 i castionesi a separarsi da Lumino erano giusti e ragionevoli e che l'atto in parola venne omologato dal Supremo Consiglio della Repubblica e tale venne riconosciuto da una dichiarazione arbitrale di Lumino. Non ammette che atti così solenni, stesi dopo ponderati esami delle varie circostanze, vengano respinti e impugnati da parte di alcuni attinenti della frazione di Castione e di Lumino. Questi usano pretendere che l'approvazione del Supremo Consiglio ticinese è stata inopportuna e contraria ai principi repubblicani che non si è tenuto conto della situazione topografica e dei legittimi interessi dei patrizi per ciò che riguarda incolti e pochi lischedi di Castione.

Arbedo non può ammettere che oggi si rinneghi una decisione emanata dopo seria e matura riflessione. Il principio della Stabilità e delle inviolabilità non è solo da applicarsi ai verdetti giudiziari, ma bensì anche a quelli dell'Autorità amministrativa, riservati gli interessi che si fondano su ragioni opportune.

È forse una ragione di Stato o di pubblica utilità il fatto che Lumino vuole ora indurre il Consiglio di Stato a mutare o invalidare atti compiuti da Amministratori precedenti?

Non si ammette che la posizione topografica e la distanza possa sfavorire o creare pregiudizio alla frazione di Castione.

Tuttavia è doveroso ammettere che le liti e le passioni possono talvolta aver generato nell'animo dei Castionesi un'opinione diversa da quella espressa nel 1820; ma non è facile accertare se il mutamento sia fondamentale.

Dichiara inoltre che il tono delle opposizioni all'unione con Arbedo fu sempre molto zoppicante.

Annovera i tentativi di Castione di voler ripristinare lo stato di Comune autonomo ed afferma che l'intenzione di rigettare l'unione fu presto abbandonata da quelle famiglie che solo miravano a diventare patrizie di Castione.

Ora l'intenzione non è più di formare un Comune autonomo, ma di unirsi a Lumino.

Tale intenzione, ritiene Arbedo, non è motivata dal desiderio di un pubblico benessere amministrativo, ma solo da mire d’ingrandimento del territorio comunale. E queste sono le conseguenze che Arbelo vuole combattere.

Arbedo nega che tutti i patrizi non furono convocati per l'allestimento dell’atto Cusa del 1820, e se ciò fosse, sarebbe giustificato che queste famiglie siano indennizzate. Si domanda perciò se le famiglie mancanti furono le famiglie Righetti e Gianoni, le quali, a loro tacitazione, con transazione del 23 maggio 1849, furono riconosciute patrizie di Arbedo. e le quali, a loro volta, a titolo di riconoscimento, aderivano all'atto del 1820. Con ciò Arbedo attesta che l'atto fu regolare ed avvalorato dalla transazione del 1849.

         Arbedo non abbandona un istante la causa e continua le sue obiezioni nei confronti di Lumino e avanza delle argomentazioni che da parte di Lumino sono molto trascurate. In special modo è messa in dubbio la secolare convivenza in comune e «ab antico» tra Lumino e Castione. All'obbiezione sollevata da Lumino e Castione riguardo alle comunicazioni stradali con Arbedo, questa si oppone energicamente asserendo che queste non furono mai interrotte malgrado che la Moesa separi i due territori Se la frazione di Castione dista da Arbedo qualche metro in più che non da Lumino, ciò non dev’essere motivo per provocare tanti guai per 4-5 minuti di cammino in più. Riguardo alla comunanza ecclesiastica, Arbedo la nega, e afferma senza alcuna prova che Lumino già si amministrava da sè, mettendosi poi, Arbedo, in netta contraddizione quando più oltre asserisce che LuminoI. e Castione erano parrocchie unite.

Prosegue nel suo rapporto, accennando come Castione si fosse mal ridotto per effetto delle passività che lo aggravarono, per cui Arbedo dovizioso ha voluto accorrere in aiuto. Ora, dopo questo intervento, Castione intende staccarsi per accrescere la prosperità da chi nella sventura non lo degnò nemmeno di uno sguardo... e gli rifiutò il soccorso chiesto...

         Queste sono le ragioni che determinarono l'unione ad Arbedo oltre al fatto che 4/5 almeno (!!!) degli stabili situati al di là della Moesa sono di proprietà di patrizi di Arbedo.

Arbedo asserisce inoltre che la separazione richiesta, dopo 30 anni di unione, è assolutamente impossibile non potendo stabilire le spese che Arbedo sopportò durante questi anni.

Quale risarcimento avrebbe dovuto esigere Lumino in applicazione dell'atto Cusa del 1820?

Avverte inoltre che l'applicazione dell'art. 10 della convenzione Cusa sarà possibile solo se Castione vorrà costituirsi come Comune autonomo, ritornando così allo stato primitivo!!!

         Ad esporre il presente memoriale sono incaricati dall'Assemblea comunale di Arbedo i signori: Menghetti Paolo e Giovan Agostino Brunetti.

Steso ad Arbedo il 19 giugno 1851

In allegato i seguenti documenti:

Istromento Cusa 1820.

Convenzione 22 maggio 1844 (rogito Rusconi).

Compromesso 1822.

Sentenza 23 agosto 1844.

Transazione 23 maggio 1849 (rogito Bernasconi)

Dichiarazione Zezi-Lunghi 7 giugno 1851).

Mandato dell'Assemblea comunale di Arbedo (del 18 maggio 1851).

Il 22 marzo 1852 Lumino, in unione ai petenti di Castione. inoltra le sue giustificazioni e controsservazioni al memoriale di Arbedo.

         Annuncia che ora quasi tutti i Castionesi hanno aderito ai fautori della separazione da Arbedo, tra i quali si notano in particolare i signori Lunghi. Solo il Rigoni, Antonio Brunetti ed il canonico Zezi non fanno parte, ma è comprensibilissimo!!!

         Da questo momento il reclamo dei luminesi è solidale con quello dei cistionesi, patrizi e non patrizi. Si afferma che Arbedo, anzichè portare solide ragioni, perchè privo, vuol gettare la discordia. Osa chiamare, zoppicanti i suoi cittadini perchè dopo trent'anni di malaugurata prova Con Arbedo vogliono ritornare con Lumino. "Tenta di togliere ogni credito alle nostre precedenti argomentazioni ma finisce coll'ammettere, con tanta chiarezza, che per ragioni di Stato o di pubblica utilità e convenienza si fanno e si rifanno Comuni.

Infatti si è visto la scomposizione dei Comuni delle Centovalli, di Frasco e Sonogno, Buttino e Cozzera in Val di Blenio, riuniti e poi nuovamente separati perchè le misure non risposero alle speranze.

Nel 1820 l'Autorità cantonale s'illuse e approvò la separazione da Lumino, perchè sospinta da pressioni scorrette non denunciabili.

Se in 30 anni ancor non si sono accomodati i litigi, significa che l'esperimento è fallito in pieno.

A questo primo fallimento ne seguiranno degli altri se le pressioni da parte di Arbedo saranno le sole ad influenzare la decisione.

         Le ragioni che indussero l'Autorità all'approvazione dell'Atto in questione, ora si mostrano insussistenti, anzi sono chiaramente in favore per un distacco da Arbedo.

Ma il vero motivo è che con l'atto del 1820 si volle fare una prova e solo una prova.

Invano Arbedo può negare che Castione sia stato unito a Lumino. Abbiamo molti documenti che attestano la comunità di Castione con Lumino. Sono le antiche scritture su pergamene dal 1100 al 1700 ed anche «regestri» ovvero estimi del 1680-1760 con elencate tutte le terre di Castione. Poi, perchè non citare quel triste periodo dell'occupazione militare del 1799 la cui popolazione di Lumino e Castione e tutta unita a sostenere e soffrire le tristi vicende!

Sulla porta della Chiesa parrocchiale di San Mamette sono incise le seguenti parole:

 

CASTIONI ET LUMINI                 LUMINI ET CASTIONI

UNIVER/SITAS                          UNIVER/SITAS

Nell'interno della stessa Parrocchiale esiste un sacro sepolcro con la seguente iscrizione:

 

SEPULCRUM CONFRATERNITUS SACHRAMENTI COMUNIS
LUMINI ET CASTIONI.
ANNO D. 1622.

(due pietre sepolcrali tolte col rifacimento del pavimento nel 1940)

Non è assolutamente vero che i 4/5 dei beni stabili di Castione appartengono a privati di Arbedo.

Si vuol pure obiettare che nel 1820 tutte le famiglie avevano chiesto l'annessione, mentre al presente non tutte la chiedono.

         Ripetiamo semplicemente che l'atto del 1820 fu arbitrario e fu chiesto solo da due individui ai quali si sono aggiunti altri nove. Non fa certo meraviglia se oggi solo due cittadini arbediensi non hanno adertio alla nostra petizione, nè abbiamo preteso la loro adesione.

Si ribatte che al di là della Moesa (riva destra) Castione gode solo con Lumino e non va sull'altra sponda in pretese del patriziato di Arbedo.

Nel maggio 1852 Arbedo ha l'occasione favorevole per nuovamente inserire nel suo memoriale che Castione le aveva provocato considerevoli spese, contribuendo alla passività di quella frazione. Arbedo dice ai suoi cittadini di Castione che averli annessi ad Arbedo fu un atto di compiacenza e che averli accettati fu di grande scapito. Così dice Arbedo: «non fosse trattenuto dal pensiero per i funesti guai che ne conseguirebbero, non esiterebbe un istante nell'accedere alle istanze di Castione e Lumino».

Non vuol tessere la tela di Penelope tutta a sua spesa e spera che i l. Lod. Consigli della Repubblica non autorizzeranno lo scioglimento in considerazione del disordine che ne deriverebbe.

Cerca inutilmente di negare il fatto che in «ab antico» Lumino fosse unito a Castione, insistendo che già nel 1600 Castione si reggeva da sè.

In queste circostanze Lumino e Castione hanno palesato una grave deficenza non invocando in appoggio alle loro affermazioni tutte le prove che avrebbero potuto facilmente produrre in conformità dei molteplici documenti comunali e parrocchiali.

75 pergamene nell'Archivio comunale di Lumino ed una decina in Parrocchia parlano di «homenj, di terre, de vicini di Lugumino et Castiliono».

Nemmeno si accennò che dal 1640 si aveva, a prova della comunità reciproca. un gonfalone in damasco rosso con le effigi di San Gottardoe di San Mamette.

Diverse antiche famiglie patrizie di Lumino, ancora nei secoli XVIII-XIX erano «in loco Castioni habitator», tra queste si possono citare i della Campagna, i Saviolo, i Piceno, i del Poz, ecc.

***Nell'anno 1606 addì primo maggio vennero votati li officiali della Parrocchia il cui elenco mostra in modo inconfondibile l'antica comunione di Castione e Lumino:

a Priore                      Pedro de Bruna

sotto Priore                Gotardo de la Campagna de Castione

tesauriero                  Giovan donato Sartor (Sartorj)

Consiglieri e deputati: Giovan de Mado

Rocho Piceno de Castione

Julius de Bruna

Jo, Domenico de Gotardo

Pedro Proncino

Pedro Saviolo de Castiono ecc. ecc.

Arbedo vuole ora asserire che Lumino «vi fu straniero» all'atto del 24 aprile 1820 e di conseguenza non può invocarlo e che, quanto ai Castionesi, è troppo chiaro che la dichiarazione fatta nell'art. 10 della convenzione, non intendeva creare un'unione precaria e provvisoria. «,solo per caso malaugurato, si prevede la separazione» non

per volontà di una parte, ma per determinazione suprema.

Ciò potrebbe succedere per una mutazione di giurisdizione di Circolo, se piacesse all'Autorità cantonale, oppure per ordine di modificazione di territorio. «Ora Lumino assolutamente straniero alla convenzione, e pochi individui di Castione, ma cospirati da Lumino, vorrebbero la revoca in applicazione dell'art. 10».

         Firmatari, per Arbedo, di questo lungo memoriale, sono: Agostino Ghidoni e Antonio Pellandini.

         Lumino è casualmente informato che Arbedo ha nuovamente inoltrato all'Autorità cantonale un lungo memoriale e in pieno accordo con i cittadini di Castione si farà un dovere di replicare a sua volta con altre contro osservazioni a legittima difesa della giusta causa.

         Il memoriale inizia con le dovute scuse di prammatica per questo nuovo loro memoriale che certamente non avrebbero osato inoltrare se la parte opposta non l'avesse fatto per prima e in modo inopportuno.

         Il contenuto del memoriale arbediense non può essere integralmente conosciuto, ma solo alcuni particolari ci vengono resi noti.

         Noi tacendo, dice Lumino, ne sortirebbe certamente un giudizio che sarebbe di grande sorpresa. Ê dunque ragionevole che qualche parola possa ancora essere sentita da parte di Lumino e di Castione. Arbedo infatti pretende che trent'anni di unione con la frazione di Castione non provocarono alcun inconveniente. Invece già nel 1823 sorsero i primi guai e venne promossa una causa assai caotica con le famiglie Lunghi circa pretese sul Beneficio parrocchiale di Castione.

         Questioni non mancarono nel trattare i bisogni della Chiesa di San Gottardo e in merito all'amministrazione della stessa.

         Il municipale promesso come rappresentante della frazione di Castione non fu mai accordato, ma tanto sarà sempre il grosso a far tacere il piccolo. Altre liti sorsero con Lumino per i lischeti al Galletto e il bosco della Tessa.

         Non mancò la causa con la famiglia Righetti e consorti e quella coi Gianoni per il promesso diritto di patriziato (fu accordato molto più tardi malgrado le promesse).

         Il fatto che gli attinenti di Arbedo possano godere dei beni patriziati di Castione e Lumino, quando quelli di Lumino non possono partecipare ai benefici di Arbedo è fonte di molta discordia per la palese ingiustizia di reciproca parità. Tutti questi inconvenienti, aggiunti a tanti altri che non vogliamo precisare, ci consigliano a non voler trattare la causa alla leggera.

         Arbedo, momentaneamente ed esplicitamente, non dà luogo alle querele contro le famiglie Righetti e Gianoni circa i diritti sul patriziato, e ciò è facilmente comprensibile: infatti Arbedo considera il patriziato di Castione unito al suo.

         Ma quale motivo indusse il signor Avv. Molo a dimettersi dalle funzioni di arbitro di commissione della causa pendente?

         Sembra anche che in terra arbediense si abbia la virtù di moltiplicare i pani e i pesci «nell'inventato deserto», perchè Arbedo cerca di spaventare con laminaccia di moltiplicare le liti e le questioni se fosse fatta la separazione.

         Ad appoggio delle sue affermazioni Arbedo ha presentato vari documenti e varie fatture riguardanti debiti pagati per conto di Castione. In caso di separazione vorrebbe che gli fossero rimborsate tali somme valutate sulle 70'000.— lire. Non fa certamente alcun calcolo degli introiti e utili avuti, dei proventi dei boschi, pascoli, taglie e altro.

Lumino ha pure il diritto di dire quanto perse con l'annessione ad Arbedo delle proprietà patriziati al piano ed in montagna, senza che i patrizi di Lumino potessero fruire dei benefici su quello di Arbedo.

         In simili casi, come praticato per altri Comuni, che vennero divisi non si pretese mai il rimborso delle spese sopportate e la spartizione dei profitti avuti durante la comunione, perchè tali spese restano spese compiute e d'obbligo.

         Se poi Arbedo ritenne opportuno il proseguire le liti, le spese che ne conseguirono non possono certamente essere attribuite al piccolo Comune di Castione.

         Il «Memorandum» di Lumino e Castione conclude asserendo in modo fermo che le pretese da parte di Arbedo, in caso di stacco della frazione di Castione, sono assolutamente infondate.

         Si fa notare che in caso di una separazione di Castione da Arbedo, sorgeranno molte ed impensate complicazioni nell'esecuzione della giurisdizione territoriale, specialmente nella zona al di là della Moesa, tra quelli di Arbedo e quelli di Castione.

         Steso a Bellinzona il 6 luglio 1852 e controfirmato da: Giulio Righetti, Gottardo Lunghi, Agostino Pronzino, Gemetti Francesco.

         Il 4 aprile 1852 la Municipalità di Lumino tenta un contatto con un certo Giovan Battista Lucchini di Bellinzona affinchè trovi una persona competente e abile per suffragare la causa in sede di discussione granconsigliare. Ma mai nessuno si interessò con simpatia della faccenda che turbava la popolazione di Lumino e di Castione, mentre Arbedo vantava importanti personalità ed appoggi.

         Il 18 dicembre l'Assemblea Patriziale di Lumino s'interessa con particolare riguardo della vertenza in corso. I due delegati già designati, signori Pronzino Agostino e Gemetti Francesco sono confermati in carica. A questi due viene aggiunto un terzo delegato nella persona di Giovan Battista Maria Agosti, giudice supplente del Circolo e già sindaco del Comune di Lumino.

         In quell'occasione un tentativo di aggiustamento della causa proposto da Arbedo viene esaminato dai tre delegati.

            Il 5 settembre 1854 l'Assemblea comunale-patriziale di Lumino, alla presenza di 54 cittadini sui 64 dimoranti, procede alla nomina di una speciale commissione che a sua volta dovrà scegliere un arbitro per la definizione della causa. Si informa la lod. Assemblea che in un colloquio tra le parti, tenuto il 20 ottobre, è stato concordato che la causa dovrà essere decisa in via arbitrale e secondo le prescrizioni della nuova legge agraria cantonale.

La nomina dell'arbitro avrà luogo in una seduta municipale alla presenza dei due

delegati comunali nella causa, del signor Giudice Giovan Maria Agosti, dei signori Massimino

Pronzini, Giulio Righetti, Clemente Ghidossi e Gemetti Francesco.

         Risulta eletto come arbitro per Lumino il signor Avv. Romerio Pietro di Filippo in Locarno, e i convenuti auspicano che farà tutto il possibile per il buon esito della causa che è chiamato ad arbitrare.

         Altri anni trascorrono prima che la causa esca dai cassetti del Governo Cantonale e dei diversi notai.

         La Municipalità di Lumino, nella seduta del 18 febbraio 1856, deve purtroppo constatare ancora che nella lite con Arbedo resta ancora molto da fare per raggiungere l'auspicabile soluzione.

         Intanto tra i due Comuni litiganti stanno il Ticino e la Moesa che continuamente minacciano le possessioni private e comunali, ma specialmente l'abitato stesso della frazione di Castione.

         Altre complicazioni si aggiungono in merito alla stima del bosco sopra Castione.

         Nondimeno l'Assemblea patriziale di Lumino, dopo lunghe e vivaci discussioni, accetta la proposta di conciliazione. I delegati sono quindi incaricati di procedere alla delimitazione del terreno al Galletto. Nel frattempo il patriziato di Arbedo ordina il taglio del bosco sotto il monte di Loga. Sorgono ben presto altri guai. Lumino, come al solito, desideroso di mantenere sempre buoni i rapporti con il vicinato, interviene appropriatamente con l'impresa cedendogli il taglio della legna ed evita il sorgere di maggiori dissidi.

         Nello stesso anno 1856 scaturisce un progetto di accomodamento elaborato dagli arbitri designati con mediazione dell'ingegner Sassi Lorenzo di Casima. Il progetto è vivamente raccomandato dal Commissario signor Togni Cipriano e su consiglio del nostro procuratore viene accettato dall'Assemblea patriziale il 30 novembre 1856, dopo confuse discussioni.

         Ciò malgrado, nemmeno nel corrente anno la causa troverà un decisivo epilogo: anzi, come già altre volte, si creano e si cercano altri motivi di discordia.

         Nel maggio 1857 è previsto un appuntamento con la delegazione di Arbedo, ma l'Assemblea non ritiene opportuno incontrarsi e respinge l'invito.

         In questo delicato momento il nostro delegato Agostino Pronzino dimissiona da membro dell'arbitraggio. In sua sostituzione è chiamato l'Avv. Angelo Steiner di Bellinzona.

         Si notano i segni, ormai troppo profondi, di un generale scoraggiamento ed un affievolimento dell'impulso tanto ardente, focoso e sentito che aveva dato inizio alla causa con tanta speranza. La critica situazione è chiaramente palese anche nella controparte.

Un fattore ha pure contribuito allo sbandamento delle parti. Arbedo procede all'incorporazione nel patriziato di Arbedo delle famiglie Righetti e Gianoni, dando inizio ad un ingiustificato indebolimento del fervore per la causa, ciò che avrà profonde conseguenze. Arbedo non si sarebbe certamente limitato all'incorporazione di queste sole famiglie pur di concludere positivamente la causa. Da parte di Luminosi rimarcherà più tardi che tale incorporazione non giustificava un rallentamento della pratica, poichè le due famiglie dovevano egualmente venir riconosciute patrizie di Arbedo sulla base di altre decisioni e di altri motivi. (Dimore alternate a Castione e Lumino «ab antico»).

         L’interessamento del delegato Agosti Giovan Maria, giudice supplente, già sindaco del Comune di Lumino, si affievolisce in modo tanto chiaro che il Municipio lo esclude da membro della commissione di arbitraggio.

         La stessa Autorità comunale, col pretesto che costui è in ritardo nel pagamento delle imposte comunali, lo radia dal catalogo elettorale come pure i suoi figli. Da notare pure che in questi ultimi tempi costui abitava con la propria famiglia a Molinazzo d'Arbedo. Ciò sembra abbia influenzato il suo strano e ostile atteggiamento.

            Le dimissioni del delegato Agostino Pronzino, l'incorporazione a patrizi d'Arbedo delle due famiglie citate e da ultimo la presa di posizione dell'ex sindaco Agosti non creavano certamente una situazione molto favorevole.

         Arbedo, considerati tutti questi fattori e visto inoltre il rifiuto da parte di Lumino in merito ad una riunione d'accomodamento, non esita e non trova difficoltà a far emettere una decisione già il 19 giugno dello stesso anno dagli arbitri Togni, Bolla e Varenna, dalla quale emerge solo l'obbligo della divisione dei fondi, null'altro!

         In relazione a tale decisione emanata dalla commissione di arbitraggio, al Municipio di Lumino non resta altra possibilità che porsi alla difesa dei confini giurisdizionali affinchè non ne derivi una capitolazione totale ai danni del Comune di Lumino.

            Solo il 25 aprile 1858 l'Assemblea Patriziale e comunale prende atto ufficialmente della decisione di arbitraggio che ordina la procedura per ladivisione del terreno giurisdizionale tra Lumino ed Arbedo, il tutto trascurando la petizione fatta a suo tempo dai castionesi e appoggiata dai luminesi. I convenuti insistono che la divisione del territorio sia fatta dalla competente commissione arbitrale, rispettando le particolari condizioni che la proporzione dei due terzi sia applicata tanto al piano come al monte. L'Alpe di Loga deve rimanere indiscutibilmente a quelli di Lumino perchè di fatto fu sempre nel passato di questi terrieri e secondo antichi documenti per diritto di compera di quelli di Lumino.

         Altri tre anni trascorreranno prima che il «Lodo» definitivo sia emesso dalla suprema Autorità. In questi ultimi anni altre modifiche saranno fatte al progetto ai danni di Lumino, con rammarico, di Luminno e di quelli di Castione. Ormai la commissione non conta più che un solo delegato da parte di Lumino.

           Il 26 giugno 1863) è finalmente pubblicato il verdetto definitivo che sottoposto all'Assemblea comunale-Patriziale il 6 luglio dello stesso anno. I cittadini ivi convenuti sono unanimemente delusi per il severo verdetto con il quale l'Autorità ordina lo smembramento di un'antica Vicinìa la cui popolazione ancora oggi è desiderosa di con­tinuare insieme la convivenza.

         Ai numerosi cittadini convenuti non rimane più alcuna speranza di continuare la lite con Arbedo in considerazione della sfiducia provocata dai fatti già citati precedentemente.

         Un desiderio pacato invade l'Assemblea, quello di mettersi finalmente in pace a qualunque costo dopo oltre 43 anni di continue liti con Arbedo che produssero molte discordie in tutte le parti. Rileva con amarezza che poteva attendersi una decisione ben più equa e più vicina alla vera giustizia.

         I fattori negativi ormai già enumerati tante volte sono tutt'altro che chiari, e così pure l'atteggiamento non troppo leale di certe difese. Di questi fatti solo le popolazioni di Lumino e Castione dovranno dolersi nell'avvenire.

         Al lodo anzidetto seguirà un atto notarile steso dall'Avv. Gaetano Molo di Bellinzona in data 23 ottobre 1865. Alla stesura dell'atto interverranno per il comune di Arbedo i signori Brunetti Zaccaria fu Vittore, sindaco, e per il Comune di Lumino il segretario comunale signor Gemetti Francesco.

         Con l'atto in parola è stabilita la linea di confine indicandone i rispettivi cippi che furono poi posati ed altri che malgrado la loro citazione nell'atto non vennero mai fissati.

         In particolare si cita che dal cippo «al tecc del Paolo» (monti di Loga), numerato AL6, sino ai confini con Roveredo, i confini restano immutati e definiti secondo l'atto rogato dall'Avo. Giuseppe Chicherio qm. Francesco, nell'anno 1707.

         Si pone così termine alle numerose liti con un giudizio definitivo sulla causa, la quale, oltre ad essere stata di una lungaggine inaudita e viziata di evidente partigianeria, ha provocato non poche discordie.

         Gli atti passano nei diversi scrigni degli archivi comunali, cantonali e in alcune biblioteche notarili. Qualche annotazione particolare è pure riscontrabile presso privati.

         La decisione provoca senza dubbio non pochi commenti e molte sono le conseguenze che oggi, alla distanza di 100 anni, si fanno ancora sentire, dalle quali si possono, più facilmente e liberamente, valutare l'entità del danno subìto da Lumino e Castione. Ancora oggi, dovremmo convincerci, senza alcun spregio altrui, che la misura imposta non è stata certamente la più provvida.

         Vorrà il lettore scusare se dicendo ciò si vuol muovere una critica ad una decisione che poteva essere ancora appellata, assicurando che non v'è alcun desiderio d'urtare contro la buona popolazione delle due sponde della Moesa.

         Solo sia acconsentito di rilevare che l'unione o conservazione della vicinanza di Castione e Lumino avrebbe meglio contribuito ed avrebbe dato maggior impulso al necessario sviluppo, facilitato da una morale e reale vicinanza.

         Come già ripetutamente asserito si deve ammettere che i confini territoriali di Arbedo sono naturali se restano sulla sinistra della Moesa.

         Nelle stesse condizioni che trovasi ora il Comune di Arbedo, nel 1907 (4) Daro, Carasso e Ravecchia trovarono provvidenziale fusione con Bellinzona, dando adito alla formazione della grande Bellinzona.

         Già nel 1906 Prato Carasso si era incorporato alla città. L'ingegner Fulgenzio Bonzanigo al quale la capitale deve molto per queste pacifiche fusioni, auspicava che l'incorporazione dei citati Comuni non fosse altro che un primo passo verso la formazione della grandissima città «in extensium» dalla Morobbia alla Moesa. Mai si parla d'estensione con località oltre la Moesa.

         L'ardita idea della formazione d'una grande Bellinzona con l'estensione del proprio territorio da Giubiasco al ponte sulla Moesa sembra ora particolarmente favorevole e vicinissima alla soluzione.

         Allora si rimarcherà ancora più chiaramente lo stacco di Castione con l'altra sponda della Moesa. La popolazione di Castione certamente porrà il suo rifiuto. Se poi la nostra Autorità cantonale, valendosi della legge sulla fusione dei Comuni, vorrà insistere per unire anche la frazione di Castione, dovrà sentire separatamente la propria volontà e pensare che Lumino rimarrà isolato non volendo certamente unirsi a Bellinzona né tanto meno ai Grigioni.

Si riproporrà l'antico «territorium» dal Ticino ai confini grigionesi? Ai posteri l'ardua, necessaria, decisione.

Nell'ultimo secolo numerosi furono i Comuni o le frazioni che si sono uniti ed altri si sono separati.

Fra i molti mi limito a citare qualcuno tra i più importanti: Val Morobbia al Piano si fuse con Giubiasco nel 1867.

Terre di Aquila si separano da quest'ultimo e formano il Comune di Ghirone, nel 1853.

Grumo è fuso con Torre nel 1927.

Campello si separa da Calpiogna nel 1853.

La squadra di Gerra Verz. fu separata da Brione nel 1852.

Le «terricciole» di Locarno-Mergoscia-Minusio sono ripartite fra Gerra Verzasca, Gondola e Lavertezzo nel 1920.

Gresso si separa da Vergeletto nel 1882.

Solduno è fuso con Locarno nel 1928, contava 550 abitanti.

Nel 1881, terre di Orselina sono divise fra i Comuni di Orselina e Muralto.

Rasa si stacca da Palagnedra nel 1864.

Casenzano e Vairano si uniscono a San Nazzaro nel 1929. Tenero si chiamerà 'Tenero-Contea col 1914.

Biogno è soppresso e viene aggiudicato in parte a Breganzona con tutti gli abitanti quali attinenti e altra parte a Bioggio, nel 1925.

Nel 1878 Cimadera si separa da Sonvico.

Nel 1904 Pambio e Noranco formano un unico Comune.

Dal 1929 Calprino si chiama Paradiso.

Nel 1861 una permuta di terreni è fatta perfino con Campione. (La punta di San Martino è aggregata a Paradiso).

Altre mutazioni potrebbero venir citate.

La nuova legge cantonale del 6 marzo 1945 darà nell'avvenire la possibilità di fusione o separazione di frazione o Comuni giustificate essenzialmente dalla situazione topografica.

Già alcuni Comuni o frazioni beneficiarono di questa possibilità non senza rimarcare i benefici effetti.

Una delle fusioni più importanti avvenuta in applicazione della nuova legge e appoggiata con particolare interesse dalle nostre Autorità è quella avvenuta il 13 novembre 1955 tra i Comuni di Colla, Scareglia. Insone, Signora e Piandera.

Concludendo si deve dunque auspicare che l'Autorità competente chiamata in un domani a risolvere il problema delle fusioni o separazioni nel contado di Bellinzona, abbia a tener presente la stretta vicinanza dei luoghi e ad attenersi così ai prefissi della legge.

Lugano, ottobre 1959.

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4) Notasi che Daro si era seoarata da bellinzona nel gennaio 1631 ad opera del Vescovo Lazaro Carafino